mercoledì 21 novembre 2007

referendum: analisi in aula

Il dibattito di stamane sui risultati del referendum ha avuto toni a momenti accesi , a momenti pacati. Chi si è tolto qualche sassolino dalle scarpe, chi ha recitato la trita liturgia del generale "abbiamo vinto noi". Accuse e controaccuse, tutto il bazar.
Mi sono sforzato di tenere un tono misurato ma sans cadeaux, come ho imparato a Québec, nella riserva degli Huroni, dove il merlo indiano del gran capo Max Gros-Louis ripeteva ai turisti che chiedevano sconti sui ricordini: "pas d' cadeaux, pas d' cadeaux..."

"Avrei preferito una campagna più civile prima del voto, e un dibattito più sereno oggi in aula. Forse le asprezze di questa discussione sono il prodotto di quanto avvenuto negli ultimi giorni di campagna referendaria, una sorta di azione-reazione. Misura nello scontro politico, misura nell’analisi, serenità nei commenti, questo sarebbe stato auspicabile.
Va detto innanzi tutto chiaramente che i referendari hanno perso. Che hanno perso sonoramente, e che, lasciatemelo dire da sportivo, stanno dimostrando di non saper perdere. Le dimensioni della loro sconfitta fanno però ritenere che avrebbero perso anche senza la forsennata campagna per l’astensione. Qualora la maggioranza avesse condotto una seria campagna su “come” votare (ma votare), i referendari avrebbero forse comunque perso.
Ossia, impostando una campagna a favore delle proprie tesi e invitando gli elettori a votare contro le proposte dei referendari, la maggioranza avrebbe probabilmente vinto lo stesso.
Resterebbe da analizzare la distribuzione di quel 72% di elettori che non si sono recati alle urne, suddividendoli tra non-voto fisiologico, non-voto convinto, non-voto di precauzione... ecc., ma la sconfitta rimane nitida e secca.
La pasticciata ansia per il tutto e subito, la complessità delle due proposte sull’elezione diretta e le alleanze, non esente da una certa sofisticata altezzosità intellettuale, - che le ha rese incomprensibili alla gente, oltre che facilmente confutabili, - sono state l’inconsapevole errore che, a posteriori, ci fa dire che avrebbe potuto essere evitata la figuraccia di invitare la gente a non votare. Sarebbe stata sufficiente una maggiore fiducia nella solidità e bontà delle proprie argomentazioni.
La battaglia del referendum è stata vinta, ma la brutta figura di avere invitato la gente a non votare lascerà il segno. Si è trattato in fondo di un caso di eccesso di legittima difesa: la forza dell’avversario era stata sopravvalutata.
Personalmente non ho cambiato idea. Votare è un diritto-dovere.
Prendo atto che per molti l’obiettivo è vincere a qualsiasi costo, utilizzando anche strumenti giuridicamente legittimi - per carità - ma discutibili. Preferisco l’etica e i fondamenti della democrazia. Lascio ad altri l’invito al non-voto.

Se invece l’obiettivo è convincere la maggioranza degli elettori della bontà e/o superiorità delle proprie tesi, è meglio combattere a volto scoperto, senza spezzare la matita di nessuno.
L’immagine della matita spezzata resterà una delle più brutte pagine di questi anni: che sia servita per vincere non è una giustificazione sufficiente.
Se però, per di più, non era indispensabile, sarà un boomerang.
La vita è una foresta di simboli. Quelli positivi, se non si riconoscono, si calpestano. Quelli negativi, i peggiori, campeggiano inequivocabili. Auguriamoci che la matita spezzata non diventi l’icona, il simbolo di una democrazia spezzata.
Due considerazioni finali sul quorum, un’anomalia tutta italiana:
- Il quorum assegna un vantaggio asimmetrico, attribuendo ai contrari la percentuale fisiologica di chi non voterebbe comunque (che pesa il doppio in un sistema che complementa a 100), e viola perciò la par condicio.
- Il quorum uccide il dibattito politico, poiché sposta lo scontro su voto/non-voto e distoglie gli elettori dal merito e dalla sostanza dei quesiti o delle proposte.
- Il quorum impedisce la segretezza del voto: chiedendo agli elettori di non votare, diventa facile verificare chi ha votato e, comunque abbia votato, ha comunque disobbedito.
Concludendo, verificato nei risultati che l’elettorato è più maturo di quanto gli stessi fautori dell'astensione avessero ritenuto, esorto il Consiglio a non modificare la legge istitutiva del referendum propositivo se non per abolire il quorum, ribilanciando, magari, il numero di firme necessarie per indire un referendum."

21 novembre 2007: casa delle libertà

Odierna dichiarazione in Consiglio:

"Ingenti risorse, in gran parte derivanti dal riparto fiscale, hanno assicurato nell’ultimo quarto di secolo alla nostra comunità un diffuso benessere. Irritando l’allora presidente Vierin, lo definii dieci anni fa “socialismo reale che funziona”.

Una Regione autonoma a contributo speciale, dove difettano però gli stimoli ad eccellere. L’eccellenza e il merito sono quasi sospetti, raramente premiati.
L’agonismo fa male, quello sociale ed economico, poi… è anatema.
In una terra che fa del turismo la sua bandiera, con oltre cinquantamila posti letto di vario genere sul territorio, solo cinque giovani - notizia di due settimane fa - sono disponibili a frequentare un corso di laurea in turismo.
E’ questa la nostra tensione all’eccellenza…?

Una fastidiosa opacità impedisce di distinguere fra tasse e imposte. Impera la progressività strisciante di tasse occulte. Misteriosi indici di reddito, padri e figli di enigmistici moduli, scandiscono e propagano i loro effetti su tutti i settori della vita dei valdostani, dalla sanità alla scuola ai trasporti, dall’asilo nido al mutuo prima casa.
Manca qualcosa, poco o tanto, all’appello finale per la remunerazione dei servizi?
No problem, lo mette mamma Regione.
Le compte est bon.

Ciò ha progressivamente portato ad una minore flessibilità di bilancio. I vincoli di destinazione, compresi quelli politici, sono inoltre aggravati dalla rigidità ormai strutturale dei bilanci degli enti locali. Dopo la riforma della finanza locale, pur disponendo di risorse ingenti come mai in passato, ai comuni restano solo quote risibili per gli investimenti.
Ecco allora arrivare di nuovo in soccorso la Regione: un circuito vizioso di cui non si vede la fine.
Oggi però il futuro, le prospettive economiche preoccupano: petrolio alle stelle, euro che penalizza le esportazioni. Si affloscia la bolla dei mutui sub-prime che propaga la crisi fino alle nostre borse, la Cina e l'India galoppano e risucchiano materie prime, spingendo i loro prezzi alle stelle.
Stati Uniti in pre-recessione, Europa che arranca su ritmi di crescita a dir poco gracili.
Italia che in Europa è il fanalino di coda: crescita del pil rivista al ribasso (1,6%), parallelo aumento del 3,6% del fabbisogno del settore pubblico, pressione fiscale alle stelle.
Scoperto in questi giorni un secondo tesoretto. Non preoccupatevi: sprecheremo anche questo. Risarcimento sociale, la stampella di un governo che ha riscoperto l’odio di classe.
Ultima per crescita in Europa l’Italia, addirittura sotto la media nazionale la Valle d’Aosta (dati Bankitalia).

Le nostre contraddizioni sono sotto gli occhi di tutti. Sul lato del welfare si chiede “più regione e meno pigione”, ai politici “più contributi e meno attributi”. Gli industriali chiedono “meno spesa e più impresa”, ma anche “più infrastrutture mirate e meno spalmature concertate” e infine “più progettualità e più produttività”.

I cittadini chiedono minori costi e minore invadenza della politica.

In sintesi, perché l’economia riparta davvero, servirebbe “meno regione e più ragione”.
Urge sburocratizzare e semplificare, ma il sistema è incartato. Oltre alle contraddizioni interne, pesa l’effetto del difficile momento che il paese attraversa. Il vento dell’antipolitica soffia gelido fin da noi. Ma la politica valdostana - lo dimostra la vicenda dei referendum - è bloccata, stenta a rinnovarsi, ad innescare quel processo di ricambio che risponda alle richieste della gente.

Pesano antiche pregiudiziali, viviamo una democrazia incompiuta. Nel 1989, con la caduta del muro, si è chiuso il “secolo breve”, come l’ha definito Eric Hobsbawm. Sono cadute le ragioni geo-politiche che in Italia avevano imposto sino ad allora un sistema, parafrasando Thomas Gresham, di “bipolarismo zoppo”.
Solo dopo l’89 il nostro paese si è incamminato verso il bipolarismo dell’alternanza.
Il Paese, ma non la Valle d’Aosta.
Questo era il vero tema dei referendum. La consapevolezza dei cittadini che l’era del “per sempre al governo” ha perso senso. Prima o poi tocca un giro anche agli altri.
In tutti i partiti o movimenti, nessuno escluso, ciò farebbe crescere a turno la cultura del buon governo e della buona opposizione.
Nel resto del Paese il bipolarismo non è certo ancora compiuto, anzi, sta già sterzando proprio in questi giorni verso una bipolarizzazione proporzionale alla tedesca con sbarramento. L’alternanza resta però l’obiettivo finale, un tema su cui la gente sta più avanti della sua classe politica. Non si torna indietro.

Questa officina, questo laboratorio della politica, è stato sinora impossibile in un sistema come il nostro, nel quale tutti gli autonomisti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.
E alcuni, purtroppo, meno degli altri.
La guerra è finita da oltre cinquant’anni, ma qui l’orologio della storia in un certo senso si è fermato. Direbbe Charles Baudelaire che, sotto sotto, questa terra soffre ancora della “grande maladie, l’horreur de la non gauche”.

L’autonomia è un fatto ormai compiuto, i suoi valori sono in quest'aula da tutti condivisi incondizionatamente. Su essa dobbiamo vigilare, certo, senza mai abbassare la guardia, affinarla, ma la gara a chi è più autonomista non ha più senso. In questo Consiglio tutti sono autonomisti, quale che sia la loro storia e provenienza. Lo hanno dimostrato in tutti questi anni in aula, in commissione, nei rapporti con i loro referenti a Roma e a Bruxelles.
L’autonomia è il fondamento della nostra Regione, del quale oggi dobbiamo arricchire i valori storici con l’aiuto di tutti, con nuovi significati, al passo con la dinamica e l’evoluzione della Valle d’Aosta, dell’Italia e dell’Europa.
Sono profondamente convinto che, per il bene di tutti i valdostani, che vivono e lavorano in questa nostra terra, su queste nostre montagne, a tutte le componenti politiche presenti in quest’aula vada ormai riconosciuta pari dignità etica e morale, poiché tutte si riconoscono senza riserve nei valori fondanti della nostra autonomia.
Smettiamola di distribuire brevetti morali o di pretendere pedigree. Consegniamo il peccato originale alla storia, entriamo finalmente nel nuovo millennio.
Abbiamo bisogno di tutti.
L’autonomia deve oggi potersi esprimere come democrazia compiuta, dove tutte le istanze si misurino con pari dignità. Un’autonomia che non rifiuti i valori dell’alternanza, anzi li riconosca come strumento di crescita di tutta la società valdostana.
Un’autonomia finalmente libera da stantie pregiudiziali, sia contro la sinistra che contro la destra, nella quale gli elettori possano realmente partecipare e decidere, sapendo che le loro scelte saranno poi rispettate.
Un’autonomia dell’eguaglianza, non dell’egualitarismo, del lavoro e non solo del posto di lavoro, dove ognuno sia valutato e progredisca secondo i meriti acquisiti sul campo, dove si rivendichino diritti essendo consapevoli dei propri doveri. Dove si abbandoni il diciotto politico come regola universale. Dove si trovi il giusto punto d’equilibrio tra interesse collettivo e libertà individuale.

Per queste ragioni, per contribuire al superamento dei pregiudizi che ancora bloccano la partecipazione di tutti con pari dignità al dialogo politico in Valle d’Aosta, ho deciso di aderire al gruppo della Casa delle Libertà, impegnandomi per la realizzazione di un sistema delle alternanze in grado di aggiungere nuovi valori alla nostra autonomia e alla nostra democrazia.
L’augurio è che in questo momento difficile, con tanti problemi all’orizzonte, nel rispetto dei ruoli di ognuno, lavoriamo tutti per portare la Valle d’Aosta fuori dalle secche di uno dei periodi più complessi degli ultimi decenni. Lo dobbiamo ai valdostani.

E’ il momento di dimostrare la nostra “specialità”.
Specialità che è anche responsabilità di essere migliori.
Stiamo meglio”, ma “siamo meglio”?
Questo dobbiamo chiederci, su questo impegnarci.
Ogni giorno difendere l’autonomia, ma ogni giorno meritarcela."